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Un viaggio attraverso le Necropoli di Pompei

La città di Pompei, antica città romana sepolta sotto le ceneri del Vesuvio nel 79 d.C., è stata oggetto di scavi archeologici dal XVIII secolo. Grazie a questi scavi, è stato possibile ricostruire molti aspetti della vita quotidiana dell’epoca romana, comprese le pratiche funerarie.

Le necropoli di Pompei si trovano al di fuori della città murata, come da legge romana che vietava le sepolture all’interno delle mura. Esse si estendono in varie direzioni: a Nord-Ovest, a Nord, a Est, a Sud-Ovest e a Sud. Ogni necropoli ha le sue caratteristiche distintive e offre un’importante testimonianza sulla società romana dell’epoca.

La necropoli di Porta Ercolano ospita le tombe di cittadini di rango elevato, probabilmente provenienti dalla vicina Regio VI, quartiere residenziale dell’aristocrazia. La necropoli di Porta Vesuvio, invece, ospita le tombe di illustri cittadini aristocratici, tra cui quella di Vestorius Priscus con un eccezionale ciclo pittorico.

La necropoli di Porta Nola mostra una grande varietà di tombe, tra cui due tombe a schola, un nucleo di urne cinerarie pertinenti a sepolture umili e un gruppo di quattro tombe di pretoriani. La necropoli meridionale di Porta Nocera, invece, è la più estesa della città ed è stata utilizzata soprattutto da cittadini di ceto sociale medio-basso, tra cui molti liberti.

Infine, la necropoli di Porta Stabia, esplorata già nell’Ottocento, ha restituito nel 2017 un monumento funerario in marmo con la più lunga epigrafe funeraria finora ritrovata. La tomba apparteneva all’illustre defunto Cn. Alleius Nigidius Maius e narra gli episodi fondamentali della sua vita.

Durante i recenti restauri delle tombe A e B della necropoli di Porta Stabia, è stata aperta la camera della tomba B mostrando il perfetto funzionamento, a 2000 anni di distanza, del sistema di chiusura romano.

I calchi di Pompei

Durante gli scavi archeologici di Pompei, sono stati rinvenuti i resti di oltre mille vittime dell’eruzione vulcanica del 79 d.C. La maggior parte di queste vittime furono intrappolate negli ambienti invasi da cenere e lapilli, mentre altre furono investite dai crolli provocati dal materiale eruttivo. In seguito, un flusso piroclastico ad alta temperatura investì la città, provocando la morte istantanea per shock termico di chi era ancora presente. I corpi delle vittime rimasero nella posizione in cui erano stati investiti dal flusso piroclastico e furono conservati grazie alla solidificazione del materiale vulcanico che ne ha mantenuto l’impronta dopo la decomposizione. Solo poco più di un centinaio di calchi delle vittime furono realizzati a partire dal 1863 grazie al metodo perfezionato da Giuseppe Fiorelli.

I calchi delle vittime, esposti in vetrine di metallo e vetro, sono molto ammirati e, sin dal primo “Museo Pompeiano” allestito da Fiorelli nel 1873-1874, sono stati un’attrazione turistica. Tuttavia, molti dei calchi esposti furono distrutti o gravemente danneggiati dai bombardamenti del 1943. Nonostante il paziente lavoro di Maiuri e collaboratori, ne è stato consentito solo un parziale recupero.

Nell’ambito del Grande Progetto Pompei è stata avviata una ricognizione che ha permesso di ritrovare calchi che si ritenevamo dispersi. Si è inoltre previsto il rilievo con laser scanner dei calchi conservati, per la realizzazione, attraverso stampa 3D, di copie che si aggiungono a quelle in gesso o in resina prodotte in passato e che saranno destinate al prestito per mostre temporanee in tutto il mondo. A Pompei, invece, sarà curata una nuova esposizione di questi preziosi reperti, che sono testimonianze uniche della tragedia del 79 d.C.

Giuseppe Fiorelli fu uno dei più importanti archeologi che operò a Pompei nell’Ottocento. Ispettore ordinario negli Scavi di Pompei dal 1847 e in seguito direttore degli scavi dal 1860 al 1875, ebbe tra numerosi meriti, quello dell’invenzione del metodo per eseguire i calchi delle vittime dell’eruzione. Le sue invenzioni permisero di rappresentare in maniera autentica la catastrofe vesuviana, colando nel masso di cenere che copriva gli scheletri il gesso liquido, per cui questi rivivono nelle forme e nelle contrazioni della loro agonia.

La Casa del Menandro: uno sguardo unico e suggestivo nel passato

La Casa del Menandro è un’antica villa romana, situata nella parte sud-occidentale della città di Pompei ed è in uno dei più celebri siti archeologici del mondo. È considerata una delle case meglio conservate nel sito archeologico di Pompei. La villa è situata su una collina che sovrasta la zona nord-ovest dell’anfiteatro, con vista panoramica su tutta la città.                                                                                             
La casa prende il nome dal famoso poeta greco Menandro, che ha visitato Pompei durante il II secolo a.C. e si dice che abbia scritto alcune delle sue opere lì. La villa fu scoperta dal grande archeologo Amedeo Maiuri tra il 1926 e il 1932: adottando il rivoluzionario sistema inventato da Giuseppe Fiorelli nel XVIII secolo, è stato possibile riportare alla luce un inestimabile tesoro di dipinti e mosaici.

All’interno della casa, sono rimasti intatti gran parte dei pavimenti originali e le decorazioni murali di epoca romana, così come gli arredamenti di epoca ellenistica. Tra i reperti più importanti ritrovati all’interno della villa vi sono alcuni dipinti raffiguranti scene pastorali, sculture marmoree e frammenti di vasi greci decorati con motivi geometrici.

La Casa del Menandro è divisa in due zone principali: la prima è composta da tre stanze e cioè un atrio, il salotto ed il triclinio; la seconda da un grande cortile interno circondato da portici con colonne intarsiate con decorazioni floreali. Al centro del cortile si trova anche un pozzo usato per estrarre l’acqua piovana da un serbatoio sotterraneo.

Oggigiorno, la Casa del Menandro è un luogo popolare tra i turisti che visitano Pompei ogni anno ed è anche un punto di riferimento per gli studiosi che studiano le antiche culture romane ed ellenistiche. La villa costituisce un simbolo di grande bellezza e interesse storico, in grado di offrire uno sguardo unico e suggestivo nel passato.

Qual è il modello della Casa del Menandro?

La Casa del Menandro è uno dei più importanti edifici di età romana sopravvissuti fino ad oggi. Fu costruita intorno al 110 a.C. ed era la dimora di un ricco mercante di nome Lucius Caecilius Iucundus. La casa si estende su un’area di circa 2.000 metri quadrati e comprende diversi ambienti interni ed esterni.

La Casa del Menandro presenta un modello architettonico classico, caratterizzato da diversi elementi stilistici che rispecchiano la cultura dell’epoca e l’influenza greca sulla città di Pompei. L’edificio è costituito da un grande atrio centrale, circondato da stanze laterali e cortili esterni che si affacciano sul portico.

Al centro dell’atrio c’è un piccolo pozzo circolare chiamato impluvium, utilizzato per raccogliere l’acqua piovana e filtrare le impurità dall’aria all’interno della casa. Inoltre, l’atrio è decorato con pavimenti a mosaici, pareti dipinte con scene di vita quotidiana e statue in marmo raffiguranti divinità greche come Apollo e Afrodite.

Altre parti della casa includono camere arredate con lettini, armadi e mobili in legno scolpito; un bagno con vasche, piastrelle dipinte e fontane decorative. Sono presenti stanze separate per gli schiavi, un piccolo tempio dedicato ad Apollo e altri spazi all’aperto con giardini curati e cortili.

La Casa del Menandro è diventata famosa per le sue caratteristiche architettoniche che sono state studiate per generazioni al fine di comprendere meglio il periodo storico in cui è stata costruita. Il modello architettonico della casa è stato spesso considerato come rappresentativo dello stile greco-romano all’interno della città di Pompei durante l’era imperiale romana.

Inoltre, è famoso anche per la sua preservazione quasi perfetta: i mosaici, le statue e i dipinti murali sono rimasti intatti per ben due millenni. La Casa del Menandro è uno dei più importanti monumenti archeologici al mondo ed è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1997.

A cosa fanno riferimento i busti in cera degli avi ritrovati nel peristilio della domus del Menandro?

Ritrovati nel peristilio della domus del Menandro, i busti in cera degli avi che vi si trovano, fanno riferimento alla storia della famiglia di Publio Vedio Pollione, il proprietario della casa. Si tratta di un insieme di sei busti in cera che rappresentano le figure mitologiche più importanti della famiglia: Apollo, Giunone, Minerva, Mercurio, Ercole e Afrodite, realizzate con grande accuratezza da artisti antiquari specializzati che risalgono al I secolo a.C.

I busti rappresentano un tributo alla famiglia Vedio Pollione e alla loro cultura antica. Il fatto che siano stati scoperti proprio nel peristilio della domus del Menandro è un segno dell’importanza che la famiglia dedicava a queste figure mitologiche e del loro legame con le divinità greche antiche. I busti sono adornati con ricami e decorazioni in oro ed argento, mantenendo intatta la tradizione artistica classica che viveva nell’antica Grecia.

I busti rappresentano anche un importante contributo alla comprensione della storia romana antica. Infatti, studiando le caratteristiche e le peculiarità degli dei rappresentate, è possibile comprendere meglio come vivevano i Romani nell’antichità e qual era il loro rapporto con le divinità greche. Inoltre, il loro studio consente di cogliere la grandeur e l’importanza delle figure mitologiche, tanto nella vita quotidiana, quanto nell’arte romana antica.

Quali sono i temi affrescati nell’atrio della casa del Menandro?

L’atrio centrale della casa, noto come atrium, è decorato con grandi affreschi rappresentanti diverse scene e motivi, mentre, la parete sud dell’atrio è interamente ricoperta da un affresco raffigurante la famosa storia di Dirce. Nella parte destra, sotto la finestra, si trova un altro affresco che mostra una scena di una battaglia navale tra le forze di Eumelo e quelle di Antenore. La parete a nord è decorata con un altro grande affresco che raffigura il mito del Centauro Chirone insegnando a Ercole le arti della lotta e del tiro con l’arco.

Sulla sinistra, sotto la finestra, si trova un suggestivo affresco composto da due gruppi di figure: da un lato, quattro giovani uomini intenti a discutere; dall’altro, tre personaggi circondati da animali e fiori. Sul fondo della scena è, inoltre, raffigurato il trono vuoto di Apollo. Sull’ultima parete dell’atrio centrale, nota come tablinum, vi è una rappresentazione di un tema religioso con figure di divinità greche e romane.

Tra queste figure spiccano i volti di Giove, Minerva e Venere, accanto alle quali compaiono alcune scene mitologiche come quella del mito di Atteone o quella della guerra tra Lapiti e Centauri. Queste scenografie rendono l’atrio centrale della Casa del Menandro un vero museo a cielo aperto in cui ammirare i templi greci e i miti antichi che hanno ispirato le opere dei maestri pompeiani.

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